Babylon
Regia di Damien Chazelle.
Un film con Brad Pitt, Margot Robbie, Diego Calva, Jean Smart, Jovan Adepo.
Genere Drammatico, – USA, 2022, durata 183 minuti.
Distribuito da Eagle Pictures.
Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13
Venerdì 26 maggio, ore 21.00
Domenica 28 maggio, ore 18.00
Lunedì 29 maggio, ore 21.00
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A Hollywood, nel 1926, nel corso di un party scatenato si incontrano l’aspirante attrice Nellie e il messicano Manny, che lavora come aiutante presso la casa di produzione Keystone. Dopo la morte per overdose di un’attrice, Nellie, bellissima e senza freni, ha finalmente l’occasione di sfondare, mentre Manny, che fin da subito s’innamora di Nellie e la protegge dal suo stesso stile di vita forsennato, diventa amico della star in declino Jack Corran. Il passaggio dal muto al sonoro stravolgerà la città del cinema: incapace di adattarsi al sonoro e travolta dalla relazione con la cantante Lady Fay Zhu, Nellie si perde in una spirale d’autodistruzione, mentre Jack vede progressivamente sparire il suo nome dai cartelloni. Il solo Manny sembra farcela, scalando i vertici del sistema, ma anche lui finirà per essere travolto dal destino della nuova Babilonia…
Chazelle racconta le origini del cinema hollywoodiano con un progetto faraonico, che ha l’ambizione e le dimensioni di un film del periodo classico.
La storia dei primi anni di Hollywood, tra documentazione, semplificazioni e mitologia, viene sostanzialmente suddivisa in tre fasi: le origini avventurose, con la nascita di miriadi di improvvisate e scalcagnate case di produzione (le ha raccontate Bogdanovich in Vecchia America, che finiva con l’uscita di Nascita di una nazione di Griffith nel 1914); l’esplosione del cinema come pozzo senza fondo di visioni, sogni, fantasie, ma anche guadagni ed eccessi (una fase ampiamente raccontata da Kenneth Anger in Hollywood Babilonia e rappresentata dagli eccessi di un genio incontrollato come Erich Von Stroheim); il passaggio dal muto al sonoro tra la fine degli anni 20 e l’inizio dei 30, con il consolidarsi dello Studio System e la moralizzazione di temi e atteggiamenti a instradare l’industria del cinema verso una maggiore accettazione sociale.
Difficile uscire da una tale cornice storiografica, provando magari a dare un quadro più complesso del modo in cui nel giro di venti anni il cinema divenne il fenomeno di massa più sconvolgente e redditizio nella storia dell’umanità, soprattutto se l’intenzione, come nel caso del nuovo film di Damien Chazelle, è riprendere fin dal titolo l’idea di Hollywood come terra di piacere, deliri e stravaganze e raccontare l’assolata città del cinema con un racconto corale adrenalinico e caotico.
Classe 1985, innamorato del jazz, cinematograficamente figlio del New American Cinema, della New Hollywood e del cinema classico (come sembra di intuire guardando la sua filmografia da Guy and Madeline on a Park Bench in poi), Chazelle per Babylon aveva in mente diversi modelli: Kenneth Anger, ovviamente, ma anche il Nathanael West di Il giorno della locusta, dei quali vorrebbe recuperare il tono cinico e quasi apocalittico; Cantando sotto la pioggia, citato nel finale e fantasma che aleggia lungo tutto il racconto (ma il tono non è quello di The Artist); New York New York, esempio di ripresa e stravolgimento dello stile classico attraverso il colore e la violenza espressiva del montaggio e dei movimenti di macchina (ma Scorsese non dimenticava le sue figure, era modernista e umanista, mentre Chazelle non va mai oltre la sua superficie scintillante e kitsch); le coreografie di Bob Fosse, evidenti nei rimandi a Cabaret della figura dell’artista lesbica Lady Fay Zhu (Li Jun Li) e in generale nella rappresentazione di un mondo dello spettacolo così folle da mostrare il suo lato più putrido e putrescente.
Nelle sue tre ore di durata, Babylon racconta gli ultimi anni del muto a Hollywood come, per l’appunto, un cabaret, un baccanale di cocaina, sesso, vomito e merda, in cui attrici, attori, registi, produttori, musicisti e agenti delle case di produzione (come il protagonista, che riprende la figura di Josh Brolin in Ave Cesare! dei Coen e nella sua sostanziale estraneità al mondo di cui è parte è una figura tipicamente scorsesiana) creano un po’ alla volta un sistema di cui saranno le prime vittime.
Nessuno si salva, in Babylon, né l’attore fascinoso in declino che ha l’allure stanco di Brad Pitt, né la star scatenata che non si adatta al sonoro (probabilmente Margot Robbie vincerà diversi premi, ma la misura con cui impersonava Sharon Tate per Tarantino le si addiceva maggiormente); né il musicista black (Jovan Adepo) che rifiuta di scurirsi la faccia per compiacere il pubblico, né, ancora, la giornalista feroce e implacabile (Jean Smart) che anticipa di un decennio Hedda Hopper. E il protagonista Manny (Diego Calva), empio come gli altri ma salvato dal suo destino di osservatore, finirà non a caso per trasformarsi egli stesso in spettatore, guardando al cinema il film che i suoi anni li ha raccontati in forma di musical, cioè Cantando sotto la pioggia, piangendo di fronte a una versione chiaramente edulcorata della storia.
Il problema di Chazelle non è solo che la sua versione dei fatti non è tanto più credibile o realistica di quella di Gene Kelly e Stanley Donen (Babylon non sta a Mank, come il suo regista non sta a David Fincher), ma anche che, a differenza di quanto fa lo stesso Cantando sotto la pioggia, non riesce nemmeno a creare un immaginario. Il suo unico interesse sembra essere aggiungere piani sequenza ad altri piani sequenza, carrellate ad altre carrellate, limitandosi (in un film volutamente fuori limite per durata, toni, recitazione, trucco) a sovrapporre movimenti su movimenti.
Tutto ciò diventa emblematico quando mostra le riprese simultanee di più film su vari set hollywoodiani, nel corso di pezzi di bravura registica che sono tra le cose più belle del film (insieme con la comparsa dello spacciatore folle interpretato dal redivivo Tobey Maguire), ma che al tempo stesso teorizzano l’idea di accumulo e simultaneità e soprattutto sanciscono come il solo possibile destino del cinema hollywoodiano contemporaneo sia la saturazione, più che la ripetizione o la citazione. Tutto questo Babylon lo dice senza andarci troppo per il sottile, mostrando fuor di metafora la montagna d’escrementi su cui Hollywood poggia…
Se perciò di fronte alla magia fasulla e irresistibile di Cantando sotto la pioggia la sola reazione possibile è quella di Manny, che piange perché sa che la sola vita credibile è quella della finzione, viene da chiedersi cosa dovrebbe fare, seguendo il ragionamento di Chazelle, lo spettatore contemporaneo di fronte allo squallore umano mostrato da Babylon: forse vomitare pure lui?
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