Ben-Hur
Un film di Timur Bekmambetov.
Con Jack Huston, Toby Kebbell, Morgan Freeman, Rodrigo Santoro, Nazanin Boniadi.
Titolo originale Ben-hur. Drammatico
Ratings: Kids+13, durata 125 min.
USA 2016. – Universal Pictures
PROGRAMMAZIONE:
Sabato 29 ottobre, ore 21.00
Domenica 30 ottobre, ore 21.00
Martedì 1 novembre, ore 21.00
Solo il Martedì biglietto € 4,00 per TUTTI
Nella provincia di Giudea, sotto il governo dell’imperatore Tiberio, il principe Giuda Ben-Hur cerca di mantenere la propria autonomia da Roma dissociandosi al contempo dai turbolenti ribelli Zeloti. Quando il fratello adottivo Messala, romano anziché giudeo, torna a Gerusalemme dalla famiglia che lo ospitò, chiede a Giuda un aiuto nel fermare gli attentatori alla vita del governatore Ponzio Pilato. Ma per una sfortunata coincidenza Ben-Hur viene accusato di cospirazione e Messala non farà nulla per salvarlo: la famiglia del principe è condannata a morte e Ben-Hur viene spedito in una galea a remare in catene, al ritmo dei tamburi dei suoi aguzzini. Solo il desiderio di vendetta alimenta la sua voglia di vivere.
Nel 2016 l’eredità di Ben-Hur è il risultato di diverse ricontestualizzazioni. L’impeto retorico del messaggio religioso del testo originario di Lew Wallace non è più attuale, come difficilmente lo è l’idea di kolossal hollywoodiano classico nell’era dei blockbuster Marvel e DC. Il ricordo delle imprese di Giuda Ben-Hur pareva consegnato per sempre alle memorie degli Oscar, con l’ineguagliabile record di 12 statuette vinte, e a quelle della storia del cinema e della sua evoluzione tecnologica, segnate in maniera indelebile dalla spettacolare sequenza della corsa delle bighe. Nel 1959 realizzare concretamente la sfida mortale tra Ben-Hur e Messala significò non solo l’impiego di mezzi ingenti e tecnologicamente all’avanguardia, ma la mobilitazione di un autentico esercito di maestranze: fu lì che Hollywood misurò la propria potenza.
L’eredità di quel momento culminante del cinema d’azione è stata raccolta da altri contesti, dagli inseguimenti tra tir nel deserto australiano dei diversi Mad Max alla corsa tra sgusci di Star Wars Episodio I: La minaccia fantasma. Il canone cinematografico, in sostanza, è rimasto vivo senza il ricorso al remake letterale. Almeno fino al 2016, in cui Timur Bekmambetov accetta la sfida con il mastodonte di William Wyler e riscrive nuovamente la storia di Giuda Ben-Hur. Puntando senza mezzi termini al lato action, anzi aggredendolo fin da subito. L’inizio è infatti in medias res, con Giuda e Messala pronti a frustare i loro destrieri, prima che abbiano inizio il flashback e il racconto delle origini di Ben-Hur. Una necessità impellente di sfidare il mito hollywoodiano, che si avverte tanto nella frettolosa sceneggiatura che nella regia marziale e impersonale del cineasta kazako, che nel tratteggio psicologico dei personaggi dimostra lo stesso entusiasmo espresso Ben-Hur in catene, quando fa andare i remi a ritmo di tamburo. Il lungo flashback iniziale assomiglia così a una soap opera costellata di prevedibili micro-climax, in cui la parziale riscrittura dell’intreccio – Messala ora è un fratello adottivo di Ben-Hur che abbandona il tetto, il principe ospita uno degli Zeloti che attenta alla vita di Pilato, lo sceicco Ilderim diviene uno dei personaggi principali e motore del riscatto di Ben-Hur, ecc. – non fa che peggiorare la situazione in termini di credibilità e di interesse generale.
Il cuore della vicenda rimane una storia hollywoodiana – rivisitata con l’estetica di violenza neo-putiniana di Bekmambetov (produttore di film come Henry) – di amicizia, tradimento, vendetta e perdono reciproco. In cui il “racconto del Cristo”, sottotitolo del film di Wyler, risulta sempre più un fastidio narrativo, un compito da sbrigare. A partire dalla caratterizzazione visiva del Messia, che da una figura misteriosa mai inquadrata in volto per Wyler diventa, negli scarsamente credibili panni di Rodrigo Santoro, un prestante falegname che dispensa saggezze mentre pialla una tavola. Una guida etica e consolatoria, che scioglie alcuni snodi dell’intreccio (guarire i lebbrosi, tra cui madre e sorella di Ben-Hur, e spingere quest’ultimo verso la misericordia) ma resta sostanzialmente in disparte (più per l’ingombro etico che per rispetto sacrale).
È al contrario assai superiore la venerazione dimostrata da Bekmambetov per la corsa delle bighe, la cui riproposizione Cgi non delude, sfruttando le nuove capacità offerte dalla tecnologia. Il regista kazako limita sorprendentemente gli eccessi, sia in senso splatter che di esagerata spettacolarizzazione del dolore, e riesce a tenere inchiodati fino all’ultimo gli spettatori. Esaurita la sfida di Ben-Hur ha però termine il senso stesso del film, che procede stancamente verso un epilogo in cui le libertà rispetto agli adattamenti precedenti abbondano e in cui il progetto sembra ridimensionare il proprio profillo ad ogni passo. Se stupisce che Hollywood non abbia pensato prima a un remake, sorprende che infine per il remake sia stato scelto un profilo così basso.
L’unico tema interessante che lo script – tra gli autori il John Ridley di 12 anni schiavo – propone è la rappresentazione dell’impero romano come macchina dell’eccesso, che spende e guadagna ingenti capitali per finanziare vizio e sport estremi. Un crudele meccanismo di morte e potere, che ha il proprio punto debole nell’insaziabile avidità, compreso e scardinato dal personaggio di Ilderim, interpretato dall’immancabile Morgan Freeman, coperta di Linus di ogni blockbuster. Il punto di vista di Ilderim, personaggio per lo più minore per Wyler, è totalmente post-capitalistico e antistorico ma personale. Purtroppo è anche l’unico abbozzo di sostanza, sotto la superficie di un remake per il resto greve, inutile e inutilmente rumoroso, destinato a essere rapidamente dimenticato, alla stregua di un cattivo sogno.
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