Fortunata
Regia di Sergio Castellitto.
Un film con Jasmine Trinca, Stefano Accorsi, Alessandro Borghi, Edoardo Pesce, Hanna Schygulla.
Genere Drammatico – Italia, 2017, durata 103 minuti.
Distribuito da Universal Pictures.
Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13
Venerdì 2 giugno, ore 21.00
Sabato 3 giugno, ore 21.00
Domenica 4 giugno, ore 21.00
Martedì 6 giugno, ore 21.00
Solo il Martedì biglietto per TUTTI € 4,00
Fortunata è una donna sulla trentina che sta crescendo da sola la figlia Barbara di otto anni in un quartiere degradato di Roma. È agosto, la città è semivuota, e Fortunata va di casa in casa a fare (in nero) messe in piega e shatush ad amiche e vicine, coltivando il sogno di aprire un suo negozio di parrucchiera e conquistare così un minimo di indipendenza economica. Franco, il marito allontanato da casa, da cui Fortunata non è ancora separata legalmente, la tormenta con visite inaspettate, insulti gratuiti e aggressioni sessuali. Chicano, il suo migliore amico, è un tossico con una madre straniera, Lotte, che sta scivolando nel buco nero dell’Alzheimer. L’incontro con uno psicoterapeuta infantile, Patrizio, cui è stato affidato dai servizi sociali il sostegno psicologico a Barbara, si presenterà a Fortunata come l’opportunità di cambiare la propria vita. Ma non tutti sanno sfruttare le buone occasioni, soprattutto se a guidare le loro azioni è una cronica mancanza di autostima e una sfiducia nella capacità (o il diritto) di essere, nella vita, fortunati.
Sergio Castellitto si conferma autore di un cinema accessibile per scelta e racconta la storia di Fortunata come un romanzo popolare, un murale pieno di colori tracimante una vitalità disperata. Lo stile questa volta deve molto al cinema di Ozpetek, esplicitamente citato nell’apparizione del Gazometro e nel personaggio di Chicano, così come nella corte multicolore (e irrealistica) delle amiche coatte della protagonista. Anche la dinamica fra Franco, interpretato in modo magistrale da Edoardo Pesce, e Fortunata deve molto a quella fra Antonio ed Emma in Un giorno perfetto.
Il problema del film è tutto nella scrittura (di Margaret Mazzantini, autrice di riferimento di Castellitto regista) che ripete molti cliché: il racconto della “povera gente” vista da un osservatorio (e attraverso un filtro) altoborghese; la propensione al melodramma sparato sopra le righe; la compulsione drammaturgica a dare ad ogni comportamento non allineato una ragione traumatica, meglio se annidata nell’infanzia, per creare un universo di orfani che “si lasciano alla spalle troppe versioni della verità”; la necessità di inserire un parallelo “alto” (in questo caso la tragedia greca Antigone) reiterato fino allo sfinimento; un personaggio come quello di Chicano che è “letterario” già nel nome; la tendenza ad alternare nei dialoghi il romanesco stretto e sgrammaticato con un italiano enunciativo e dantesco. Il personaggio più debole, narrativamente (ma anche umanamente), resta Patrizio, lo psicoterapeuta che butta la deontologia alle ortiche abbandonando chiunque si affidi al suo sostegno emotivo, a cominciare dalla bambina che gli è stata affidata. E il masochismo “femminile” di Fortunata, che la rende una sorta di Re Mida al negativo, è un'”invenzione letteraria” davvero difficile da digerire.
La forza del film è invece la regia di Castellitto: fisica, muscolare, “inzugliona”, irrequieta, affamata di vita, trafelata come la protagonista che va di fretta anche se non sa dove andare (a parare), bulimica, aggressiva, gioiosa e indisciplinata come Fortunata, di cui nelle scene iniziali non sentiamo la voce né vediamo la faccia, tronco di donna in perenne movimento incanalata lungo un corridoio, affannata a raccogliere da ogni stanza i pezzi che servono a comporre quel puzzle domestico utile a dare alla propria figlia il senso di completezza che, a quel tronco di donna, manca visibilmente. Come già in Non ti muovere, finora la sua regia più riuscita, Castellitto mostra una profonda empatia con il femminile, ovvero con le reali difficoltà di essere donna e madre nel nostro Paese, e con l’esigenza di emancipazione che è, prima di tutto, anelito di libertà ed esigenza di rispetto. Il vero protagonista maschile in questa storia è invece il denaro che manca davvero, ma che diventa anche una scusa per giustificare i propri fallimenti e la propria “voglia di sparare a qualcuno”. Perché l’illusione che “ci devi mettere i soldi se no non funziona” e il rap secondo cui è “la gente con i soldi che fa girare il mondo” è (anche) un modo per ritardare all’infinito la presa di responsabilità di ognuno di questi personaggi in cerca di una direzione e di una via d’uscita.
Fortunata e sua figlia sono i ruoli più riusciti, anche grazie a due interpretazioni eccezionali: quella di Nicole Centanni nei panni di Barbara, e quella di Jasmine Trinca, in lotta con la vita, contradditoria, coraggiosa e spaventata, una donna che mangia, tocca, si sporca, fa sesso, cade, si rialza, corre, crolla addormentata, suda e ride. Fortunata è bellissima nel suo inarginabile istinto vitale e sensuale, proprio quello che Franco vorrebbe sopprimere e che Patrizio non riesce a contenere. In questo senso è l’eterno femminino, simbolo atavico di potere da soffocare per la sua valenza incendiaria. Fortunata è una parabola sulla libertà declinata al femminile, e racconta la spoliazione progressiva di tutto ciò che lega una donna ai suoi “doveri” fino a non avere più niente da perdere, unica posizione di forza concessa a un prigioniero. Il suo specchio è Lotte, la madre di Chicano, ex attrice di successo (dunque simbolo di una femminilità strutturata per piacere) autorizzata solo dalla vecchiaia e dalla malattia a spalancare quelle porte che, in gioventù e in salute, doveva tenere chiuse. E Hanna Schygulla, nel suo breve cammeo, è un passaggio di Grazia, l’attraversamento leggero di un confine a lungo subìto e ora, finalmente, permeabile.
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