Jeanne Du Barry – La Favorita del Re
Regia di Maïwenn.
Un film con Maïwenn, Johnny Depp, Benjamin Lavernhe, Pierre Richard, Melvil Poupaud.
Titolo originale: Jeanne du Barry.
Genere Drammatico, Storico, – Francia, 2023, durata 116 minuti.
Distribuito da Notorious Pictures.
Lunedì 18 settembre, ore 21:00
Martedì 19 settembre, ore 21:00
Mercoledì 20 settembre, ore 21:00
Giovedì 21 settembre, ore 21:00
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Jeanne, figlia del popolo avida di sapere le cose del mondo, divora libri e sogna la scalata sociale. Seduttrice incallita nel secolo libertino, cavalca irresistibili attrazioni e incontra il duca du Barry. È lui a trarre indebito vantaggio dalla sua bellezza insolente, introducendola nei salotti mondani e ‘offrendola’ a Versailles, dove si impone come la favorita di Luigi XV. La costernazione della famiglia reale è grande ma niente può contro i sentimenti e quel suo imprevedibile temperamento che deflagra il paesaggio cortigiano, abbatte il conformismo e innamora perdutamente il sovrano. Un re che dietro la maschera impassibile, non si rassegna agli inchini, ai riti grotteschi e alle ipocrisie che ingombrano i suoi saloni. Per averla accanto, Luigi XV le organizza un matrimonio di convenienza e le compra un titolo con la collana di diamanti. La nobile cortigiana du Barry ‘regnerà’ il tempo di un amore, spento dal vaiolo e dalla Storia che avanza fuori campo.
Non è facile liberarsi di se stessi e in questo senso ogni film di Maïwenn è una sfida. Diciassette anni e sei film dopo, è ancora lì, incapace di trascendere la propria piccola storia, di tentare anche solo l’universale. Ma è così Maïwenn, prendere o lasciare.
Nata in una famiglia ‘plebea’ e dalla leggenda nera (violenza, abuso, abbandono) che ha nutrito i suoi primi passi al cinema, l’autrice non ha mai smesso di ‘girare’ intorno alla disfunzione familiare e al regolamento artistico dei conti. Con buona pace dei detrattori, sempre pronti a tuonare sul suo eterno narcisismo, Jeanne du Barry non cade troppo lontano dai precedenti one-woman-show. Pardonnez-moi, Le Bal des actrices, Mon roi, DNA – Le radici dell’amore sono squisitamente autoreferenziali, un cinema diabolicamente efficace, che può sedurre con l’esibizionismo e il manicheismo della sua drammaturgia ma che proprio per questo pone qualche riserva.
Costantemente ossessionata da sé, dalle sue origini e dal suo clan, questa volta punta il suo complesso di inferiorità e il suo bisogno di legittimità scomodando la Contessa du Barry, nata Jeanne-Antoinette Poisson. La donna più invidiata e detestata del suo tempo, l’incarnazione per eccellenza dell’elevazione sociale e della riuscita.
Sotto la crinolina soffia un’aria di autofiction e solleva una sottana da 20 milioni di euro che riporta la grande storia, questa volta in costume, alla dimensione del suo teatro intimo. Jeanne du Barry, plebea della Meuse, è diventata la favorita del re, Maïwenn, cresciuta a Seine-Saint-Denis e in una famiglia modesta, è diventata attrice e autrice celebrata. Tre secoli le separano, un film le incontra.
La seconda scivola nella pelle della prima e in una fiction storica ambiziosa e deliberatamente lampante, che registra tuttavia qualche oscillazione: la voce fuori campo, la rinuncia all’improvvisazione, l’uso della pellicola, la sobrietà inattesa, il respiro del quadro, l’emancipazione dal disordine autoreferenziale e dalla dimostrazione (rumorosa) dei sentimenti. Certo, per incarnare questa ribelle che tanto l’affascina, Maïwenn non ha resistito al piacere di ingaggiare se stessa, nutrendosi dello straordinario destino dell’ultima grande favorita di Francia e seguendo i suoi passi: trovare la propria strada in un mondo codificato e patriarcale. Scelta discutibile? Poco importa, il ruolo le va come un guanto.
Onnipresente o quasi, l’attrice si filma in tutti i suoi stati (gioia, piacere, esasperazione, angoscia e tante lacrime) per ‘specchiarsi’ meglio nel riflesso della sua eroina e ribadire la posizione di elettrone libero che occupa oggi alla ‘corte’ del nobile cinema francese.
Insofferente ai protocolli, si inchina il tempo di una riverenza al sovrano depresso di Johnny Depp, lost in translation, nudo, senza mimica o effetti. Lo sguardo nero è altrove, opaco dentro quello azzurro di Maïwenn, si accende una volta sola per inchiodare le sue figlie reali, che convocano tutta la cattiveria delle sorelle di Cenerentola.
E in questa favola(ccia) che flirta col romanzo d’amore, si accompagna con losche figure maschili e ritratta la sua insolenza con mille piccoli ‘passetti’ indietro – è più perturbante “Lady Oscar” – il vero coup de théâtre è Benjamin Lavernhe, flemmatico valletto del re. La naturale eleganza, l’allure impeccabile e la solidità tecnica dell’attore producono una forma di vertigine che ridimensiona il delirio egocentrico dell’autrice e ‘costruisce’ un personaggio (La Borde) che vorremmo rivedere al cinema. “Favorito” al primo sguardo.
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