La corte
Un film di Christian Vincent.
Con Fabrice Luchini, Sidse Babett Knudsen, Eva Lallier, Miss Ming, Berenice Sand.
Titolo originale L’termine.
Commedia, Ratings: Kids+13, durata 98 min.
Francia 2015. – Academy Two
PROGRAMMAZIONE:
venerdì 20 maggio, ore 21.00
domenica 22 maggio ore 18.00
lunedì 23 maggio, ore 21.00
Xavier Racine è un maturo giudice togato della corte d’Assise di Saint-Omer, nella regione nordoccidentale del passo di Calais, soprannominato il magistrato “a due cifre”, perché è difficile che le vittime dei suoi verdetti scontino meno di dieci anni di reclusione. Nonostante una brutta influenza di stagione, Racine è chiamato a presiedere l’aula in cui si svolge il processo a un giovane disoccupato, accusato di aver ucciso la figlia di sei mesi. Ma a sconvolgere Racine non è l’omicidio di Melissa, bensì la presenza tra i giurati popolari di Ditte Lorensen-Coteret, un’anestesista di origini danesi che aveva conosciuto anni prima, quando era stato ricoverato in ospedale per un incidente, e della quale si era perdutamente innamorato.
La collaborazione tra Christian Vincent e Fabrice Luchini risale a prima ancora de La Timida, il film che li aveva fatti conoscere entrambi, ad un cortometraggio di epoca scolastica e di materia sentimentale dal titolo che par quasi a tema, Il ne faut jurer rien. Ora, dopo alcune brillanti incursioni nel teatro filmato, Vincent presenta un film più minimale, ma anche più sottile e interessante. Dalle location presidenziali si passa all’aula stretta di un tribunale di provincia, a poca distanza da una tavola calda ancora più stretta. Un’aula per di più inizialmente contenuta in un’inquadratura piatta e parziale, l’equivalente di un ritratto a mezzo busto, qual è l’immagine del giudice assiso. Quale miglior set per fare davvero del teatro filmato, con un personaggio che ha un cognome del genere, per giunta? Invece no. L’astuzia di Vincent è quella di crearsi le condizioni per fare del cinema, anche solo con uno sguardo.
Luchini è “l’uomo con l’ermellino” (in francese “hermine”) e quello di Vincent è senza dubbio un ritratto: di un attore straordinario e di un personaggio da romanzo, tutto normalità e anonimato, con nel cuore un sentimento segreto che ha la potenza dell’ossessione. Ma c’è di più. Avvolto nella stola di pelliccia di ermellino, simbolo di dignità e incorruttibilità (si diceva fosse un animale che preferirebbe morire piuttosto che macchiare il bianco puro del suo manto), Xavier Racine è imperturbabile e solenne, “giusto” (la verità è altra cosa e non ci compete, afferma ad un certo punto) e moderato, inibito all’eccesso (non perde mai la pazienza) così come al difetto (non può lasciar correre l’imprecisione linguistica, deve intervenire), almeno fino a che non vede qualcosa (qualcuno). Come nel capolavoro di Leonardo, che proprio con la “Dama con l’ermellino” abbandona la tradizionale trasparenza della ritrattistica e introduce il moto dell’animo, basta il volgersi del volto del/la protagonista ad osservare qualcuno che sopraggiunge nella stanza, per aprire l’ordinario allo straordinario, per passare dalla registrazione meccanica al cinema narrativo.
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