My name is Adil
Regia di Adil Azzab, Andrea Pellizzer, Magda Rezene.
Un film con Husam Azzab, Hamid Azzab, Adil Azzab, Hassan Azzab, Zilali Azzab, Mohamed Atiq.
Titolo originale: My Name Is Adil.
Genere Biografico – Italia, Marocco, 2016, durata 74 minuti.
Distribuito da Unisona.
Mercoledì 25 ottobre, ore 21.00
Giovedì 26 ottobre, ore 21.00
Venerdì 27 ottobre, ore 21.00
Adil è un bambino marocchino che vive in campagna. Il padre è venuto in Italia per cercare lavoro ed è il denaro che manda a casa a consentire a moglie e figli di andare avanti. Adil è però stato requisito dallo zio come guardiano delle pecore e l’uomo non gli riserva certo un trattamento di favore ma lo tratta quasi come uno schiavo. Finché un giorno Adil a 13 anni decide di raggiungere il genitore in Italia. La sua vita cambierà ma il senso di separazione dalle proprie radici si farà sentire.
Ci sono film dalla struttura semplice e lineare che sanno offrire allo spettatore più occasioni di riflessione di altri che nella complessità della struttura credono di trovare il loro fondamento. In questo caso siamo di fronte a una vicenda che ci viene subito dichiarata come realmente accaduta e a un protagonista da tempo integrato nella nostra società che ricorda la propria infanzia.
Tanto sono affascinanti gli spazi in cui il piccolo Adil agisce quanto non lo è la vita che è costretto a condurre. Vittima di uno zio violento (la memoria va a Padre padrone dei Taviani) che lo costringe anche a lottare con i coetanei mettendo in palio del tonno in scatola, il bambino può trovare nella madre conforto ma scarsa protezione mentre il nonno lamenta l’assenza del figlio che è andato in Italia abbandonando i campi. Però il denaro che invia è utile e c’è chi in famiglia (sempre lo zio) ne vorrebbe sempre di più.
Mentre si assiste alla vita di Adil non possono non venire alla mente storie analoghe che il cinema, la letteratura e, innanzitutto, la Storia ci hanno raccontato a proposito di quando erano i nostri padri a migrare e non solo dal Sud ma anche da quel Nordest oggi in parte così chiuso a qualsiasi inserimento. Bene ha fatto Edgar Reitz quando è tornato a girare un nuovo capitolo della sua Heimat realizzando quello che potremmo definire un prequel delle vicende della famiglia Simon. Lì si ricordava ai tedeschi di memoria corta che nell’800 anche dalla nazione oggi trainante e dominante nell’economia europea partivano migranti alla volta del Brasile in cerca di quello che in patria non potevano avere: un minimo di sicurezza economica.
In My name is Adil ci viene offerta l’opportunità di provare, almeno idealmente, a camminare con le scarpe altrui, a cercare cioè di comprendere non solo la povertà e i sogni ma anche il dolore del distacco e il sentirsi non più nordafricani ma neanche del tutto italiani. Non siamo però dinanzi a un pamphlet ideologico ma a una persona con i suoi dubbi, le sue scoperte (il mare) e le sue realizzazioni. Se più spesso ci sforzassimo di guardare agli altri senza le lenti del pregiudizio generalizzante ci accorgeremmo che ognuno ha un suo vissuto e capiremmo che ‘loro’ non sono tutti come lo zio (che il film ci fa detestare e che non vorremmo incontrare sul nostro cammino). Ci sono gli ‘zii’ e ci sono gli Adil e non possono essere trattati allo stesso modo.
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