The Danish Girl
Un film di Tom Hooper.
Con Eddie Redmayne, Amber Heard, Alicia Vikander, Matthias Schoenaerts, Adrian Schiller.
Titolo originale The Danish Girl.
Biografico, Ratings: Kids+13, durata 120 min.
Gran Bretagna, USA 2015. – Universal Pictures
PROGRAMMAZIONE:
Sabato 12 marzo, ore 21.00
Domenica 13 marzo, ore 21.00
Martedì 15 marzo, ore 21.00
Solo il Martedì il Biglietto per TUTTI € 4,00
Pittore paesaggista della Danimarca dei primi anni del ‘900 Einar Wegener ha vissuto due vite, la prima con una moglie a Copenhagen, e la seconda a Parigi come Lili Elbe. Infine ha tentato la prima operazione chirurgica della storia finalizzata al cambio di sesso. Attratto dall’abbigliamento femminile dopo un gioco erotico con la moglie e sempre meno capace di smettere di vestirsi e atteggiarsi da donna, nel corso di diversi anni Einar vuole lasciare il posto a Lili, che percepisce come un’entità separata. Aiutato e supportato attraverso molte difficoltà da una moglie da cui è sempre meno attratto, Einar fugge dalla medicina del proprio tempo che lo vuole internare o dichiarare schizofrenico e si rifugia nella chirurgia sperimentale, conscio che quella che intende provare è un’operazione mai tentata prima e dai rischi immani.
Per una storia di un corpo che si trasforma Hooper sceglie l’incorporeità; per un racconto di uno spirito intrappolato in una gabbia fisica che non riconosce come propria, sceglie di concentrarsi sul primo e trascurare la seconda. Il travaglio e la lenta presa di coscienza di Einar Wegener di voler diventare Lili Elbe, passa tutta per lo specchio dell’anima, per gli occhi e il volto di Eddie Redmayne e non per il suo corpo. I movimenti che Einar trasferisce ad Elbe, che impara dalle altre donne e che si sente obbligato ad assumere, sono solo una piccola parte del film, la prima. Quando però l’esigenza di essere donna cresce e si fa potente, i corpi e la carne scompaiono. Paradossalmente più diventano protagonisti, cioè più la mutazione deve diventare fisica, meno si vedono e più sono i volti ad essere inquadrati, i lineamenti che si addolciscono e le espressioni che si fanno tenui, quasi virginali in un tripudio anche eccessivo di recitazione e assoli.
Si tratta di una vera e propria festa per Eddie Redmayne, attore espressionista dalle tinte forti che qui spazia e dà il proprio meglio con un non trascurabile compiacimento nell’interpretare quello che, per antonomasia, viene considerato un grande ruolo, uno di pura mimesi e mutazione. Eppure, accanto a lui, meno sotto i riflettori ma capace di guadagnare da sola l’attenzione del film sta Alicia Vikander, attrice meno nota e meno premiata di Redmayne, che con un personaggio non protagonista riesce a determinare le sorti di ogni scena. Senza pretendere il proscenio è attraverso i suoi piani d’ascolto e attraverso le molte maniere in cui rende la propria subalternità che il film vive i suoi momenti più onesti. Alla fine è lei, da una parte, il vero motore emotivo di questa storia e non il protagonista sempre inquadrato.
Pensato per piacere, essere innocuo e non sconvolgere proprio nessuno, The Danish Girl è un film dal tocco dolcemente retroguardista, cosa che stupisce poco da un regista “di corte” come Tom Hooper (I Miserabili, Il discorso del re), avvezzo all’alta società e profondo conoscitore dei meccanismi di accettazione delle novità e delle storie poco concilianti da parte della frangia meno progressista del pubblico, ovvero la sua maggioranza. Per attenuare le componenti disturbanti del proprio film, Hooper lo infarcisce di grandi pennellate, sfondi e interni meravigliosi, dalla composizione cromatica impeccabile e, non a caso, pittorica.
Scenografia, costumi e fotografia lavorano come un comparto solo, con un’armonia d’intenti che si trasforma in puro piacere visivo analogico e digitale.
Soffice e lieve nel tocco con cui narra il tormento del protagonista The Danish Girl riesce quindi nell’impresa di far dimenticare il più possibile le sue componenti più dure e aspre, sfuma sui baci omosessuali, compie ellissi sul sesso e cerca il garbo maggiore per inquadrare i fisici, specie se nudi, con un pudore che (dato il tema) appare spesso fuori luogo o quantomeno eccessivo. Non meraviglia quindi che il risultato finale sia un film di testa su una storia di mutamenti della carne, una storia che prevede anche un’operazione chirurgica!
Che il proprio sesso sia una questione di spirito è il presupposto fondamentale di tutta l’avventura di Einar Wegener. Tuttavia, quando una trama simile diventa un film di questo tipo è impossibile non notare l’assordante silenzio dei corpi.
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