Us – Noi

Regia di Jordan Peele.
Un film Da vedere 2019 con Lupita Nyong’o, Winston Duke, Elisabeth Moss, Tim Heidecker, Yahya Abdul-Mateen II.
Titolo originale: Us.
Genere Horror, Thriller – USA, 2019, durata 116 minuti.
Distribuito da Universal Pictures.
Consigli per la visione di bambini e ragazzi: V.M. 14

Venerdì 17 maggio ore 21.00
Domenica 19 maggio ore 18.00
Lunedì 20 maggio ore 21.00

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In Tv uno spot pubblicizza l’iniziativa di beneficenza “Hands Across America”, siamo infatti nel 1986, quando sei milioni e mezzo di americani si tennero per mano e fecero donazioni per combattere fame e miseria. Un’immagine che colpisce la piccola Adelaide e che colpirà anche il suo doppio, incontrato una notte in una casa degli specchi in un Luna Park. Ai giorni nostri Adelaide è cresciuta, ha più o meno superato il trauma, e ha una famiglia, ma di nuovo una vacanza alla spiaggia scatena minacciosi doppi e questa volta non solo suoi, bensì di tutta la sua famiglia.

Fin dal titolo Noi implica un Loro e del resto la locandina stessa evoca la dualità con i cerchi di un paio di forbici, perché il nuovo film di Jordan Peele è un horror politico sulle disparità e le specularità e, come i migliori film sul doppio, è un crudele gioco di ribaltamenti.

Ultracorpi, zombie, Jekyll e Hyde, ma pure ricchi e poveri, profezie apocalittiche e inni alla gioia, le mani che si stringono e quelle fameliche e tese di “Thriller” di Michael Jackson: nel film di Peele c’è tutto questo e ovviamente pure il divario sociale tra bianchi e neri, perché anche se questo secondo l’autore è un film sull’America e non sulla questione razziale, quest’ultima è tanto radicata nel Paese che semplicemente non se ne può prescindere.

Se Scappa – Get out affrontava un tema frontalmente e ne faceva il fulcro del film, portando l’esperienza di essere neri negli Stati Uniti al centro di un’opera di intrattenimento ma pure mostrandone i lati più inquietanti e spaventosi, Noi è invece più ambizioso e allegorico, alla fine forse meno immediatamente entusiasmante ma profondamente stratificato e condotto con grande personalità e non senza ironia.

La messa in scena ha riferimenti usuali come il Luna Park ma anche originali come le scenografie che guardano – si legge – ai toni neutri e alle piastrelle dei centri commerciali nord coreani degli anni 80. Allo stesso modo il balletto (sì, come in Suspiria, ma in modo meno gridato e più convincente) usato per una scena di corpo a corpo, colpisce nel segno. Coreografata sul tema dello “Schiaccianoci”, ma pressoché irriconoscibile nel sinistro arrangiamento musicale, la lotta conclusiva è anche una rappresentazione concretissima del contrasto tra libertà del benessere e la prigionia della povertà, dove non servono le parole e basta la diversità degli spazi. Del resto anche la classe media dei protagonisti finisce presto contrapposta alla ricchezza e ai comfort di un’altra famiglia, non a caso bianca, dove l’assistente domestica Ophelia, versione hi-tech della Mami di Via col vento, verrà imbrattata di sangue. Il tutto mentre al posto di chiamare la polizia suona “Fuck Tha Police”, brano di protesta degli N.W.A. e ironicamente nella playlist dei bianchi, per cui diventa una sorta di letale contrappasso.

Di questi tocchi il film abbonda, per esempio il dialogo mentre i protagonisti in auto cantano “I Got 5 on It”, che per la figlia è un testo sulla droga con connotazione negativa, ma per il padre è un canzone “dope”, ossia sulla marijuana ma pure, in uno slang ormai canonizzato, anche “molto buona”. Il brano finale poi, a immagini tutt’altro che rassicuranti, giustappone “Les Fleurs” di Minnie Riperton (che allora si firmava Ripperton) dove si canta in coro “Suonate tutte le campane e dite ovunque, a tutte le genti, che il fiore è sbocciato – Illuminate il cielo delle vostre preghiere di felicità e gioia perché l’oscurità se n’è andata”. Oltretutto in aperto contrasto al versetto di Geremia 11:11 (di nuovo un doppio), che appare più volte nel film e recita: “Perciò, così parla l’Eterno: Ecco, io faccio venir su loro una calamità, alla quale non potranno sfuggire. Essi grideranno a me, ma io non li ascolterò”.

Noi è così un’opera dove le opposizioni sono incise in profondità, nei dettagli delle immagini, delle citazioni e della colonna sonora, a volte con toni da commedia ma più spesso inseriti in un horror profondamente efficace, con sequenze suggestive e lucidamente messe in scena. Inoltre, in linea con il risorgere del movimenti femministi e black americani, è la donna nera a sovvertire il luogo comune del “salvatore bianco” e a farsi sempre più protagonista, mentre affronta gli incubi del proprio passato.

Nel tentativo di seguire la tradizione allegorica di Romero, dove gli zombie sono una massa implicitamente proletaria, in cerca di una sorta di rivalsa post-mortem, Peele finisce per prendere il loro punto di vista. Noi è allora quasi una versione degli ultracorpi siegeliani dove sono i doppioni a conservare ancora il sogno, la preoccupazione per la giustizia, mentre i borghesi, come intontiti dalle proprie possibilità, sono chiusi in un egoismo che gli impedisce di agire in modo coordinato e alla fine, giustamente, li condanna.

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